• Azzurra Becherini / ELEONORA athlete portrait

L’impronta di una piccola mano su un foglio bianco, il foglio bianco di un esistenza tutta da disegnare, “il segno” che ognuno di noi lascia nella vita e che la giovane donna ed atleta Eleonora è riuscita a tracciare con coraggio forza e determinazione.

Eleonora è nata il 10 febbraio del 1986, è un atleta dello Special Team – Special Olympics Italia, ha iniziato a nuotare sin da piccolissima, a 4 anni era già la piccola “pesciolina” di casa, e molto presto a gareggiare, a soli 13 anni è volata in America come atleta italiana ai Giochi Mondiali Special Olympics (Olympics World Games) in North Carolina,

Eleonora si è qualificata tra le prime ai recenti Giochi Estivi Nazionali Special Olympics Italia 2017 a Terni e La Spezia vincendo numerose medaglie e classificandosi sul podio dei 100 metri – staffetta e 50,

Eleonora è una ragazza dolcissima, sensibile, sempre allegra, non manca mai un sorriso e una risata sul suo viso, determinata concentrata, attenta, precisa e piena di forza nello sport,

Eleonora è nostalgica, ama celebrare ogni suo momento importante, che ama scrivere nei suoi preziosi taccuini,

Eleonora è appassionata di musica, cantanti pop e neo melodici italiani, ama ballare, saltare e cantare a squarciagola nel giardino di casa;

Eleonora è oggi una giovane splendida donna,

ELEONORA athlete portrait  è il diario di famgilia di Eleonora, intimità tenerezza forza e determinazione, tra passato e presente, pagine da consegnare a chi volesse comprendere, conoscerle e scoprirle,

“Eleonora” fa parte del progetto Athlete Portrait, progetto ampio, nato nel 2015 – 2016 – 2017, anni in cui ho seguito i team degli atleti Special Team –  Special Olympics Italia, programma Internazionale di allenamento sportivo e competizioni tra atleti con disabilità intellettive e relazionali (sindrome di down, autismo ecc), documentando in diverse discipline sportive i loro allenamenti: basket, ginnastica ritmica e artistica, bowling e nuoto, e seguendoli ai Giochi Nazionali Estivi Special Olympics Italia 2017 Terni – La Spezia e Biella, al cui seguito, delle qualificazioni ai giochi si terranno nel 2019 gli Special Olympics World Games ad Abu Dabi – Emirati Arabi.

Ancora oggi gli atleti con sindrome di down sono stati esclusi dalla partecipazione ai Giochi Olimpici/Paralimpiadi (dalle scorse Paralimpiadi di RIO 2016), solo in alcune discipline è previsto dal 2012, possano accedere atleti con disabilità intellettive, la questione di un loro inserimento reale nelle varie discipline sportive resta tuttora sospesa.

 

• Joe Oppedisano / Buskers

i sono testimonianze di performances rappresentate in luoghi pubblici, in cambio di offerte, in ogni grande cultura del mondo e in ogni tempo anche nell’antichità. Per molti musicisti, lo spettacolo di strada era il mezzo più comune di lavoro prima dell’avvento della possibilità di registrazione personale e dell’elettronica. Una persona doveva produrre attivamente musica o intrattenimento, salvo l’utilizzo di alcuni dispositivi meccanici come l’organo a botte, la cassetta di musica e il rullo da pianoforte.

Mi viene spesso chiesto “Perché i buskers?” Questo interesse è iniziato ventisei anni fa. Nel 1990, con la sponsorizzazione di Polaroid, con cui ho lavorato dal 1988, ho proposto e completato un progetto, “Carnevale a Milano” utilizzando il banco ottico 50 x 60 Polaroid. Ho costruito uno studio all’aperto in Piazza Duomo, sotto una tenda, dove era posizionato uno sfondo dipinto che rappresentava una scena di Milano, proprio come avevano fatto i fotografi nell’Ottocento. Durante un periodo di quattro giorni, ho scattato circa 150 ritratti di persone nei loro costumi e, dopo il successo del progetto, in Italia sono state organizzate mostre di questo lavoro.

L’anno successivo Polaroid mi parlò della grande mostra della Polaroid Collection USA, che si sarebbe svolta a Roma, al Palazzo delle Esposizioni nel 1992. Contemporaneamente i responsabili decisero di portare la grande fotocamera  50 x 60 e di invitare un certo numero di persone ad utilizzarla, al fine di eseguire una mostra “Work in Progress”, che si sarebbe costruita contemporaneamente alla mostra “Collezione Polaroid”, in cui il pubblico stesso avrebbe potuto partecipare alla sua creazione.  Quindi pensai: perchè non fare un progetto a Roma?

Mi venne l’idea di fare un progetto sui musicisti di strada.

Fin da ragazzino, negli Stati Uniti, avevo suonato la chitarra e avevo pensato di diventare musicista, ma poi avevo cambiato idea, quando questa passione era stata superata da quella per la fotografia, nei miei anni di università. Con la realizzazione di questo progetto avrei potuto ricollegare le mie passioni. Frequentai le poche feste di buskers che erano nate in Italia, già diversi anni prima. Dapprima andai a Pelego in Toscana, per vedere come si svolgeva questo festival, cercai di reclutare Buskers, mi sembrò divertente e interessante, poi a Ferrara feci lo stesso. Reclutai circa trenta persone, singoli musicisti o gruppi, che accettarono di venire a Roma, per essere ritratti con la grande Polaroid 50 x 60, al Palazzo delle Esposizioni.

Nell’autunno del 1992, dopo aver progettato uno sfondo di tela di 5×10 m, ispirato al pittore Lyonel Feininger e creato dall’amico Carlo Ravera, grande scenografo e pittore, lavorai per due giorni con tutti i gruppi. Il progetto fu  ben accolto da Polaroid e anche dal pubblico.

Dopo questa esperienza, rimasi affascinato dal mondo dei buskers. Invitai nel mio studio per una sessione, alcuni di loro, incontrati nelle vie di Milano.

Nel 1994 proposi una ripresa del “progetto Roma”, presso il Ferrara Buskers Festival, dopo aver conosciuto Stefano Bottoni, fondatore e direttore artistico del Festival a cui era piaciuta l’idea. Bottoni mi aiutò ad ottenere i permessi dal Comune per utilizzare uno spazio, in cui allestire uno studio, presso l’Accademia di Belle Arti di Ferrara e successivamente uno spazio espositivo pubblico. All’epoca, Dario Franceschini era l’assessore alla cultura di Ferrara e grazie al suo sostegno, la mostra potè essere organizzata e fu un successo.

Questa esperienza a Ferrara ha rafforzato il mio impegno nei confronti dei buskers. Anno dopo anno ho continuato a seguire il Ferrara Buskers Festival con gli organizzatori Stefano, Gigi, Enrichetta e Roberta che mi hanno accettato come parte della loro famiglia. Questa per me è stata veramente una bellissima esperienza e un onore.

Devo ringraziare loro, per aver reso questo libro una realtà che va a coincidere con il trentennale del Ferrara Buskers Festival e servirà come documento fotografico del suo successo.

Dal breve racconto del mio coinvolgimento per i buskers, vorrei soffermarmi su ciò che mi interessa di più in questo lavoro e dire che quello che mi piace di più, al di fuori dei tradizionali criteri pubblicitari e commerciali, è capire tutto ciò che è diverso, che appartiene alle cosiddette sub-culture: le persone o i gruppi che vivono, e spesso sopravvivono, solo grazie alla passione che metteno in quello che fanno. Sono sempre stato uno spirito libero, guidato dai venti che hanno attraversato la mia anima e sono sempre stato attratto da persone con la passione per quello che fanno, come i buskers, che sono grandi musicisti e artisti, disposti a sacrificare cose materiali per continuare a esercitare la loro arte, anche se (e questo pregiudizio risale all’antichità) la società più convenzionale spesso li guarda, ingiustamente, quasi come barboni o fannulloni. Realizzando questo progetto voglio dare ai buskers, rappresentati in questo libro, lo speciale riconoscimento che essi meritano, come veri artisti.

I loro ritratti sono per lo più fatti in studio.

Può sembrare contraddittorio fotografare i buskers in un ambiente artefatto come uno studio ma ho fatto questa scelta perché istintivamente, quando fotografo una persona, cerco la sua partecipazione nell’azione del ritratto. Prendendo i buskers fuori dal loro contesto abituale della strada e posizionandoli nella dimensione concentrata e separata dello studio, vivo con loro in uno spazio privato e all’interno di una atmosfera particolare. Il mio scopo e la mia sfida, nella creazione della luce e nel tentativo di dirigere l’azione, sono quelli di trovare un modo che rivelerà qualcosa di speciale del loro io interiore mentre suonano per me, il loro fotografo.

 

• Graziano Perotti / Dammi la mano

 

Quando ho ricevuto la telefonata dell’Associazione Lino

Sartori, che mi ha incaricato di raccontare per immagini il

senso dei suoi 25 anni di attivit., non sapeva che tra le famiglie

che assisteva c’era anche la mia.

Mi stava chiedendo di entrare nella sua e mia intimit. per

narrare il momento pi. difficile di una vita intera.

Una responsabilit. enorme.

Prima di accettare pi. volte mi sono chiesto se sarei stato

all’altezza di descrivere attimi cosi intensi di emozioni degli

ammalati, dei medici, infermieri, fisioterapisti e psicologi.

Come sarei entrato nelle loro case? Come avrei fotografato

attimi di dolore e giorni pi. sereni profumati di speranza?

Come avrei scrutato gli occhi di nonni, madri, padri, figli,

nipoti? Li avrei fotografati o avrei abbassato io gli occhi ?

Certo, non era il primo tema sociale che narravo.

Ma questo era il pi. difficile: raccontare di angeli e di sofferenza.

Quante volte ho sentito gli ammalati esclamare: “ Il primo

giorno che sono entrati a casa nostra è come se fossero

entrati degli angeli” – il personale dell’ Associazione per la

cura del dolore “Lino Sartori”.

Ecco volevo raccontare questa frase e la potenza di un

gesto visto centinaia di volte: dammi la mano! Quella mano

a volte sofferente, altre piena di speranza che cercava la

mano del suo angelo trovandola sempre.

Non . stato un lavoro fotografico, ma un percorso di vita.

Un pellegrinaggio nel dolore e nell’amore, casa per casa,

per raccontare di famiglie che con una incredibile forza e

solidariet. mi hanno accolto, ben sapendo che avrei raccontato

la loro pi. difficile intimit. tra le mura domestiche.

Un paziente un giorno mi ha chiesto se anch’io fossi un

angelo.

L’ha chiesto sorridendo, perch. lo avevo convinto, dopo

mesi, a riprendere in mano la macchina fotografica, che era

la sua passione.

Lo avevo convinto a raccontare al posto mio gli attimi della

visita di Carlo, uno degli infermieri dell’Associazione.

Ci siamo divertiti un sacco: sua moglie ha accettato di posare

come modella e si rideva come matti.

In quel momento mi sono sentito felice di aver accettato

questo lavoro. Ho capito che occorreva tanta leggerezza.

E rinunciare a foto, magari bellissime e potenti, ma irrispettose

verso chi mi ha aperto la sua porta e accolto con

fiducia per fissare tanto amore in una fotografia.

Non so se mi . riuscito di raccontare gli attimi degli angeli

che bussano tutti i giorni, da 25 anni, alle porte di chi ne ha

bisogno e che sentiamo parte delle nostre famiglie.

Di mani che si uniscono nei giorni pi. difficili da accettare.

So che quelle mani piene di amore le ho toccate anch’io e

le ho fissate in molti scatti che rimarranno nel tempo per

raccontare che gli angeli, se si cercano, esistono.